Patria, la serie: si può vivere nel rancore?
Patria è un adattamento per il piccolo schermo dell’omonimo romanzo di Fernando Aramburu. Dopo la proiezione della serie di otto episodi al festival del cinema di San Sebastián, Spagna, da settembre è disponibile anche in Italia.
La serie racconta del dramma di due famiglie in un contesto fortemente condizionato dal terrorismo dell’ETA, un gruppo (in realtà vera e propria mafia) che ha ucciso 853 persone allo scopo di fare pressione sul governo e imporre la propria volontà indipendentista.
Tuttavia, Patria si discosta dall’analisi politica per dare spazio alla riflessione umana attraverso l’espressione artistica. Non c’è l’intenzione di discolpare, di fare confronti o di relativizzare il ruolo dei due fronti protagonisti della trama.
Semplicemente ci riporta il punto di vista di chi sosteneva i terroristi e di coloro i quali venivano perseguitati, minacciati e uccisi.
Patria: non è importante cosa si racconta, ma come lo si racconta
Per 40 anni il gruppo terroristico ETA ha preteso di essere al potere e di impossessarsene con la violenza, agendo da mediatore del sentimento dei Paesi Baschi. In molti casi i civili sono stati vittima di attacchi, ricatti e minacce.
Lo Stato non sempre è riuscito a reggere una tale pressione, motivo per cui sorsero diversi gruppi, come quello che prese il nome di GAL, responsabili di omicidi e torture, questa volta ai danni di militanti dell’ETA o di chi era sospettato di esserlo. Un tentativo risolutivo che in molti ambienti non fece che giustificare o far crescere il numero di seguaci del gruppo terroristico.
Dopo aver dichiarato un cessate il fuoco permanente nel 2011, l’ETA ha iniziato a consegnare le armi nel 2017, prima di sparire del tutto nel maggio 2018. Quello che non ha fatto, però, è stato chiedere scusa né sono stati fatti i noni di molti assassini, che ancora oggi passeggiano liberamente per le strade.
Due donne, due ideologie
Patria racconta le vicende di due famiglie basche allo stremo a causa del conflitto armato, per tre decenni. L’annuncio fatto da ETA nel 2011 sul suo scioglimento spinge la vedova Bittori (Lena Irureta) a fare ritorno al suo paese natale da San Sebastián, che aveva dovuto abbandonare a causa dell’assassinio del marito, Txato (José Ramón Saroiz), imprenditore basco nel settore dei trasporti.
Con il suo ritorno si apriranno molte ferite. Ritrova Miren (Ane Gabarain) e suo marito Joxian (Mikel Laskurain). Famiglie amiche fino a quando l’ETA non mise gli occhi su una delle due. Miren desidera avere delle risposte, lungi da una vendetta ideologica.
Vorrebbe solo sapere se Joxe Mari (Jon Olivares), il figlio di quello che prima del matrimonio era stato suo amico, sia stato l’esecutore materiale dell’omicidio di suo marito. Sa che si trova in carcere, ma non ne conosce il vero ruolo nell’omicidio.
Una storia tra passato e presente che non ha motivo di esistere
Man mano che la trama di Patria si sviluppa, guarda indietro e racconta dell’amicizia tra le due famiglie; capiamo così che alcuni fatti hanno segnato un prima e un dopo. Il bisogno assoluto di gestire gli affari di famiglia, geografici o politici fa saltare in aria i legami affettivi più forti.
Con i suoi frequenti rimandi alla morte di Txato e con la sequenza di quei momenti raccontata da diversi punti di vista, la serie descrive in dettaglio gli effetti dei ricatti e delle azioni dell’ETA sui rapporti sociali, ma anche la paura che era in grado di provocare.
Patria è onesta con il dolore che possono aver sofferto le famiglie degli assassini, ma non retrocede dinnanzi alla sfida di raccontare chi sono stati e come sono arrivati a essere tali.
Patria, la serie: quando il rancore ha la meglio, tutto resta fermo
La serie ci mostra la distruzione emotiva di tutte le famiglie. Per esempio, sebbene l’ETA abbia abbandonato le armi, ciò non dissuaso molti sostenitori a pensare che uccidere sia l’unico modo per provare a sottomettere lo Stato legittimo. D’altro canto, come già detto, la serie prova soprattutto a mostrare la tragedia nel suo insieme.
Senza giustificare gli assassini, ci spiega il rito di passaggio di un giovane “patriota” che considera l’ingresso nel gruppo come una sorta di avventura da vivere con un suo amico, per poi addentrarsi in un progressivo inferno personale.
La narrazione a volte è talmente super partes che in alcuni momenti sembra -e secondo molti lo è- troppo generosa con chi uccideva con un proiettile sulla nuca anche bambini, dopo diversi giorni di sequestro.
Il regista Gabilondo guida lo spettatore all’interno di una piccola comunità e ci mostra cosa vuol dire vivere sotto minaccia e in che modo l’amicizia di una vita tra famiglie può trasformarsi in odio. L’ideologia politica ha coinvolto entrambe le parti e sembra disumanizzare i rapporti.
In Patria non c’è spazio per la superficialità di idee ed emozioni
Particolarmente straziante è il ruolo di Miren, madre che più che essere comprensiva verso il figlio, sembra solo spargere rancore.
La sua antitesi è la figlia Arantxa (Loreto Mauleon) che, con sguardo coraggioso, dimostra che la vera rivoluzione è mostrare umanità e diffondere sentimenti positivi anche quando la vita infierisce senza sosta. Arantxa è lo spiraglio da cui si scorge la speranza in Patria.
Insomma, una serie che affronta meno le nostre ideologie e più la nostra natura: pezzetti di storia definiti da un concetto che alcune volte può tirare fuori il peggio di noi. Ci porta anche a chiederci come sia possibile che così tante persone abbiano abbracciato o appoggiato il terrorismo. Come può un’ideologia renderci così ciechi da uccidere, minacciare, sequestrare o provare a sottomettere l’altro?
Perché ancora oggi non si conosce l’identità di alcuni assassini e com’è possibile che non sia stato ancora pronunciato un “mi dispiace” da parte dei carnefici?