Smettete di soffrire perché non vi rende persone migliori

Smettete di soffrire perché non vi rende persone migliori

Ultimo aggiornamento: 05 settembre, 2016

“Tutti i miei dolori saranno ricompensati. La vita darà ad ognuno ciò che si merita, soprattutto a quelli che mi hanno tradito. È bene che io soffra perché solo così un giorno otterrò la mia ricompensa. Forse ora non mi sto godendo a pieno la vita, ma prima o poi avrò l’opportunità di farlo perché l’universo, o Dio, è perfettamente a conoscenza di ciò che sto passando. Tutta la tristezza che sto provando mi è utile, perché le persone buone soffrono, ma sono quelle che alla fine trionfano.”

Chissà se queste frasi vi suonano familiari, forse si potrebbe quasi dire che fanno parte di un discorso ripetuto per anni. Talmente popolari, che sicuramente tutti noi prima o poi abbiamo avuto la tentazione di dirle o le abbiamo addirittura fatte nostre. Si tratta della credenza che la felicità sarà una ricompensa per il nostro dolore, non per le azioni che facciamo in modo attivo e positivo. È l’eredità emotiva delle nostre radici giudeo-cristiane. Chi è buono soffre, per se stesso e per gli altri.

Nell’ambito clinico della psicologia vi è una grande percentuale di pazienti affetti da depressione che applica questa idea totalmente irrazionale a tutti gli aspetti della loro vita. Viene conosciuta come la “fallacia della ricompensa divina”, che non è diverso dal credere che le nostre “buone” azioni saranno ricompensate da un’entità magica e irrazionale.

Le tue azioni sono più potenti di quello che viene chiamato karma

Le opportunità non vanno aspettate, vanno create, spremute e sfruttate al massimo. Ciò richiede tenacia, autodeterminazione e fermezza. Nella vita bisogna sapere porre un limite agli abusi: quelli che gli altri fanno a voi e quelli che ci si infligge da soli.

Il dolore e lo scoraggiamento fanno parte della vita e accettarli porterà salute emotiva, poiché permetterà di tollerarli e affrontarli, evitando che si trasformino in un sentimento cronico e disfunzionale. Eppure a volte adottiamo la sofferenza come un autentico stile di vita.

ragazza si cuce

Cominciamo a maturare atteggiamenti di vittimismo perché sentiamo che la vita non risponde al principio della reciprocità, dato che a volte, quando diamo una mano, riceviamo in cambio un pugno. Come se la vita fosse alla mercé dei nostri desideri, come se fosse una fonte di successi imprescindibili e arbitrari sulla base delle sue leggi, estranee ed indecifrabili.

Se il karma fosse davvero più potente delle nostre azioni giuste e corrette, le persone che arrecano danno e manipolano costantemente soffrirebbero rispetto a coloro che quei danni li ricevono, e non il contrario. Dovete solo darvi un’occhiata attorno per rendervi conto che il mondo è ben lontano dall’essere giusto e dal ricompensare coloro che soffrono. Come comportarsi quindi?

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Soffrire non ci rende necessariamente più forti

Credere che quando si sta male e si soffre la vita in cambio ci darà tutto ciò che ci si merita, equivale a pensare che se si raccoglie da terra un pezzo di carta e lo si crede una banconota, la si potrà davvero usare per gli acquisti. È una credenza per alcuni versi delirante e distruttiva che finiamo per imporre a noi stessi, come se soffrire fosse una specie di benedizione.

Molte persone cominciano a spaventarsi quando le cose sono tranquille e stanno andando bene. Per loro comincia uno stato di allerta continua e di insoddisfazione, come se fosse il giusto atteggiamento per ottenere dei benefici. Come se pensare insistentemente a ciò che potrebbe succedere porterà la felicità in futuro.

“Dobbiamo essere sofferenti, sensibili, non c’è perdono per il senso critico e la satira. Siamo fatte per soffrire ed essere commiserate dagli altri e provare pietà. E soffrire non ci rende più forti, di solito ci debilita. Come la povertà, che, invece di provocare in noi la giusta ira, risentimento e spirito rivoluzionario, ci rende invece più deboli o ci priva di ogni capacità di reazione, lasciandoci senza forze”

-Marta Sanz-

bambina in acqua

Nella prospettiva sistematica della psicologia viene analizzato l’attecchimento di questo modo di pensare e comportarsi, che spesso trova la propria ancora nei messaggi provenienti dalla famiglia stessa. Il castigo non insegna nulla ai bambini se non è accompagnato da una pratica di ricompensa o positiva.

Il bambino deve capire che per porre rimedio a qualche brutta azione, deve ripagare colui che è stato danneggiato o fare qualcosa di positivo che compensi la cattiva azione, in modo immediato e contingente alla condotta sbagliata. Se ci si limita a castigarlo per farlo soffrire, capirà che la riparazione al danno consiste nella sofferenza e nel castigo che gli viene imposto. In questo modo, fin da bambini interiorizziamo l’idea che soffrire passivamente sia la pratica corretta.

Sostituite l’auto-castigo con le buone azioni

Se desiderate di meglio per la vostra vita, mettete in moto le strategie e le abilità che possedete affinché sia così. Aspettarsi che sia il mondo a percepire il vostro dolore e a ricompensarvi per questo è una concezione sbagliata.

In molte occasioni la depressione si basa su una sensazione di impotenza appresa: crediamo che, qualsiasi cosa facciamo, le cose non miglioreranno, perché fino ad ora non è successo. È il momento di pensare alle nostre strategie passate. Se abbiamo sempre mantenuto un atteggiamento passivo davanti alle avversità gettando la spugna alla minima difficoltà o se invece le abbiamo affrontate in modo attivo.

La sofferenza di solito attira altra sofferenza, è questione di inerzia. Debilita il nostro sistema immunitario, che non riesce a conservare energia per le situazioni di pericolo reale, dato che restiamo costantemente in uno stato di allerta, sfiducia e tensione.

Un dolore interno che desideriamo possa cambiare un giorno, quando l’unico modo per migliorare è non aspettare di essere ricompensati soltanto perché ce la stiamo passando male. Se volete i rinforzi, dovete andare a cercarli. La tristezza e l’inattività creano dipendenza. Smettete di soffrire, non vi rende persone migliori, ma causa dolore a voi e a chi vi sta attorno.

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