La disperazione, quando diamo tutto per perduto
La disperazione è un veleno che estingue a poco a poco l’illusione, la motivazione e l’energia. È la crosta della delusione permanente, la spina nel fianco che ci fa provare l’amarezza, fino a quando cadiamo in una trappola psicologica molto pericolosa. Perché a lungo termine, questo stato ci rende molto vulnerabili alla depressione e ad altri disturbi con un prezzo emotivo molto alto.
Nella pratica clinica quotidiana, sappiamo che gran parte delle condizioni psicologiche prevede degli interventi che possono aiutare la persona. Sappiamo, ad esempio, quale terapia e strategie offrire a un paziente con un disturbo d’ansia, un disturbo post traumatico da stress, fobia, ecc.
Ma ci sono anche altre realtà che, per quanto curiose possano sembrare, sono altamente stimolanti per un professionista. Parliamo di quelle situazioni in cui qualcuno viene da noi dicendoci di aver perso il senso della vita, che si sente intrappolato dalla disperazione, che soffre emotivamente senza conoscerne molto bene il motivo.
Questi stati non compaiono sempre nel DSM-V (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Si tratta di pazienti che non hanno ancora attraversato quella linea in cui appare già una condizione clinica. Si trovano tuttavia in un abisso emotivo, sul bordo di un precipizio in cui è necessario un rapido intervento per evitare di cadere.
Perché se c’è qualcosa che molti di noi sanno, è che la disperazione ci fa perdere il senso della vita, in quanto si tratta di quella convinzione pericolosa e irrazionale in cui si arriva a pensare che tutto, assolutamente tutto, sia andato perduto.
“La disperazione è fondata su ciò che sappiamo, cioè nulla, mentre la speranza su ciò che ignoriamo, cioè tutto.”
-Maurice Maeterlinck-
Disperazione, la risposta emotiva e comportamentale che precede la depressione
L’immagine qui sopra rappresenta un’opera della pittrice preraffaellita Evelyn De Morgan, intitolata Hope in a Prison of Despair. In essa possiamo osservare un oscuro sotterraneo dove si trova una donna chinata che nasconde il viso. È davanti a una finestra, ma non guarda nemmeno fuori per vedere la luce del sole. È questa la disperazione.
Dietro di lei c’è un giovane che regge una lampada: è la speranza che cerca di illuminare la sua persona, confortarla, riportare ottimismo, coraggio e forza interiore. L’autrice del quadro intendeva mettere in scena quell’essere che tutti noi dobbiamo invocare per uscire da una prigione personale fatta di delusioni, dispiaceri, frustrazioni e lacune.
Di cosa si tratta esattamente?
La parola speranza deriva dal termine francese “espoir”, che significa respirare. La disperazione simboleggia non solo la mancanza di respiro, ma anche l’assenza di spirito, la perdita di quell’essenza che ci rende umani.
Al di là del significato simbolico, da questo sentimento emerge senz’altro una realtà oggettiva: la disperazione, lungi dal poter essere spiegata facilmente, prevede una complessa rete di dinamiche e meccanismi interiori sorprendenti.
Ciò rende difficile per una persona disperata capire il motivo per cui si sente senza speranza. Alcuni dei sentimenti provati dalle persone disperate sono:
- Perdita di significato. Improvvisamente nulla ha senso per loro.
- Hanno sperimentato una serie di esperienze negative che non sono state elaborate correttamente.
- Poca autostima.
- Si sentono impotenti. A un certo punto pensano che nulla possa cambiare le cose.
- Provano tristezza, apatia, affaticamento fisico, scarsa motivazione, disinteresse per tutto ciò che le circonda.
- Sentono frustrazione, amarezza e pessimismo.
Se non si interviene in tempo, la persistenza di queste dinamiche psicologiche e comportamentali condurrà inevitabilmente verso un processo depressivo.
Curare la disperazione per prevenire la depressione
La disperazione di solito va e viene. È un ospite fastidioso che viene a farci visita in certi momenti, ma che tende a svanire quando cambiamo punto di vista o adottiamo nuove abitudini.
Alcuni studi come quello condotto presso l’Università di Twente in Olanda ci mostrano che la disperazione è spesso legata alla personalità. Esistono dei profili con una maggiore tendenza al pessimismo e alla mancanza di difese. Tuttavia, ciò non significa che queste persone sono tenute a soffrire.
Tutti abbiamo la possibilità (e il dovere) di ricorrere a tutte le risorse personali di cui disponiamo per scoraggiare, sfuggire e affrontare la disperazione. Alcuni atteggiamenti utili per riflettere sono:
- Sintonizzarsi sul proprio stato d’animo, provando a dare un nome a ogni emozione.
- Comprendere che la disperazione segue spesso la seguente regola del tre: tristezza, frustrazione, delusione. Dopotutto, è uno stato cumulativo, che ci fa vivere delle esperienze senza averle precedentemente risolte. È pertanto opportuno individuarne l’origine.
- La disperazione è uno stato emotivo che viene intensificato dai nostri atteggiamenti. Seguire le stesse routine alimenterà la situazione, quello stato. Quindi vala la pena di adottare nuove abitudini. Proviamo a connetterci con la realtà in un altro modo, innovando, dando vita a nuovi progetti nel modo più creativo possibile.
Per concludere, quando ci troviamo intrappolati nella prigione della disperazione, come quella rappresentata nel quadro di Evelyn De Morgan, la cosa più importante da fare è generare alternative, aprire nuove porte, abbracciare nuovi mondi. È chiaro, tuttavia, che non è sempre possibile uscire da soli da queste trappole di dolore psicologico.
La terapia cognitivo-comportamentale può aiutarci in questi casi. Di conseguenza, non esitate a cercare un aiuto professionale.
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