Le parole che non aiutano chi soffre
Quante volte vi è capitato di provare a sfogarvi con un amico e trovarvi alla fine a consolarlo? Avete vissuto sulla vostra pelle la mancanza di una vera attenzione quando ne avevate bisogno? A volte si ha solo bisogno di essere ascoltati, e non di ricevere consigli. Per evitare di commettere questo errore con gli altri è bene conoscere le parole che non aiutano una persona che sta soffrendo.
L’ascolto, l’empatia e l’amore per l’altro, sono i punti di riferimento più importanti quando vogliamo aiutare una persona che sta attraversando un momento doloroso. Può trattarsi di una morte, di una perdita o di un abbandono, in ogni caso vi è un vuoto che prima era riempito da una persona che non c’è più. Come possiamo aiutare chi si trova in questa situazione?
Le parole possono essere armi a doppio taglio, a volte riescono a guarire, altre volte feriscono, in certe occasioni confortano, mentre in altre generano un peso in chi le usa o in chi le ascolta. Liberano, ma possono anche ritorcersi contro chi le ha pronunciate o contro chi le ascolta. Le parole possono generare opportunità oppure condannare, possono salvare o fare affondare.
“È meglio essere re del tuo silenzio che schiavo delle tue parole.”
Le parole non se le porta via il vento
Così come esistono parole che aiutano, ne esistono altre che lasciano un sedimento che avvelena, dunque che non aiutano. Alba Payás, esperta in sofferenza e perdite presenta alcune frasi o parole che non aiutano una persona che sta soffrendo, per esempio:
- Devi essere forte.
- Prova a distrarti.
- Vedrai che il tempo cura tutto.
- Adesso non soffre più.
- Ora puoi aiutare altri genitori, fratelli, figli, ecc.
- Sei giovane, ti riprenderai di sicuro! Puoi sposarti di nuovo, puoi avere ancora figli…
- Devi pensare al bello della vita.
- Questa esperienza ti renderà una persona migliore.
- I bambini sono piccoli, non si ricorderanno di niente.
- So come ti senti…,mio/a…è morto/a…da…
- E i tuoi figli sono pure maggiorenni; immagina se…
- Per fortuna che hai altri figli. I genitori che ne hanno uno solo…
- Pensa agli altri tuoi figli…
- Di cosa è morto/a?
- Quanti anni aveva?
La persona che soffre non conosce forza in questo momento, ha semplicemente bisogno di ritirarsi in se stessa e sanare la sua ferita, integrando la perdita. Non può distrarsi, la sua mente si concentra sui ricordi, ma anche sull’assenza.
Sente l’impossibilità di una compagnia, l’addio, il saluto, l’incertezza, in molti casi anche la paura, perché chi se ne è andato era un grande sostegno. E adesso? Come possono continuare a funzionare gli autobus o la metro quando tutto si è fermato?
In molti casi la persona che soffre cerca di sanare una ferita in un mondo che non si cura di lei (o che mostra un altro atteggiamento, ma in fondo le è indifferente). Non sappiamo se la persona che è andata via soffre o ha sofferto, ma quello che ci è evidente e possiamo avvertire è la sofferenza di quelli che restano.
È strano, ma forse in questi momenti si gradisce soprattutto il rispetto. Non alterare il silenzio che, sotto forma di vuoto, sentiamo quando l’altro se ne va. La compagnia, la nostra presenza nei momenti di bisogno. Dire alla persona che soffre che può contare su di noi ed esserci realmente.
bIl fermarci quando l’altro si è fermato, oltre la veglia e il funerale. Rimanere alla porta quando gli indifferenti se ne sono andati. Perché è proprio allora che comincia la parte difficile: la ricostruzione.
La sofferenza di ognuno è personale, relativa al suo percorso, e si tratta delle sue lacrime. Molto spesso le parole che non aiutano ci allontanano dalla persona perché in certe occasioni la comunicazione neutra è difficile. A volte un gesto di affetto o un silenzio accogliente è quello che consola di più.
Le parole che non aiutano creano distanze e possono anche arrivare a generare sofferenza.
Il potere delle lacrime e le parole che non aiutano
“-Lascia che vadano via, Lucia- disse la nonna da qualche parte.
-Chi?
-Le lacrime! A volte sembra che siano talmente tante che senti che potresti affogarci dentro, ma non è così.
-Credi che un giorno smetteranno di uscire?
-Certo! -rispose la nonna con un sorriso dolce- le lacrime non restano per troppo tempo, compiono il loro lavoro e poi continuano il loro cammino.
-E che lavoro compiono?
-Sono acqua, Lucia! Puliscono, schiariscono… come la pioggia. Dopo la pioggia si vede tutto diverso”
-“La pioggia sa il perché”.
-María Fernanda Heredía-
Le lacrime ci liberano, ci lasciano fluire, ci puliscono dentro. Permettere all’altro di piangere è anche un lavoro personale, come permettere la tristezza o il silenzio; la pazienza di attendere che quello che teniamo dentro venga fuori.
Se non riusciamo a consolare attraverso le nostre parole, possiamo farlo con l’ascolto. Per quanto grande sia la perdita, arriverà un momento in cui l’altra persona, anche solo per un istante, guarderà attorno a sé e le farà bene vederci al suo fianco.
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