Sentirsi in colpa quando non si lavora

sentirsi in colpa quando non si lavora rientra tra i comportamenti irrazionali. Sebbene la pressione sociale richieda di lavorare senza sosta, anche il riposo è un aspetto che va valorizzato e preservato.
Sentirsi in colpa quando non si lavora
Gema Sánchez Cuevas

Revisionato e approvato da la psicologa Gema Sánchez Cuevas.

Ultimo aggiornamento: 12 marzo, 2023

Viviamo in un’epoca caratterizzata dalla velocità, dall’iperproduttività e dall’ossessione per il successo. Aderire a questi schemi, consapevolmente o meno, comporta una certa esposizione allo stress. Vivere sotto pressione, con il pensiero che non ci sforziamo mai abbastanza, può portare a sentirsi in colpa quando non si lavora.

Questa idea altro non è che una distorsione della realtà. Ed è proprio all’origine di quel senso di inquietudine che ci assale quando non ci adeguiamo al modello imposto, basato sulla produttività.

In fondo, tale pensiero non fa che alimentare il condizionamento che tende a normalizzare la tendenza a sentirsi in colpa quando non si lavora.

“La spinta delle persone a lavorare di più è del tutto soggettiva. Lavorare troppo può assopire le emozioni in modo diverso. A volte il lavoro extra serve a ridurre la depressione, la rabbia, l’invidia o la sessualità”.

-Arlie Russell Hochschild-

Uomo in ufficio.

Sentirsi in colpa quando non si lavora: perché?

Espressioni quali “il tempo è denaro”, “ottimizzare il tempo”, “non perdere tempo” non sono affatto innocenti. Sono il carburante di un pensiero diffuso, che tenta incessantemente di alimentarsi con tutti gli strumenti possibili. Motivo per cui, in un certo senso, è normale sentirsi in colpa quando non si lavora.

Siamo soggetti a un forte condizionamento, ovvero che il tempo vada speso facendo qualcosa di utile. Tuttavia, al giorno d’oggi si inizia a riconoscere che la produttività non è sempre la via maestra.

Ci sentiamo in colpa se ci riposiamo, quando crediamo di aver trasgredito a una norma “sacra”. Non bisogna dimenticare, però, che le regole sono legittime quando favoriscono il benessere. In caso contrario, diventano l’espressione di una cieca obbedienza, autodistruttiva, che è forse il caso di riconsiderare.

Spesso, inoltre, lavoriamo troppo per evitare di affrontare i nostri problemi. Essere sempre occupati, di fatto, ci impedisce di fare i conti con gli aspetti meno piacevoli della nostra esistenza.

Il ruolo dell’ambiente circostante

Ciò che per una cultura può essere considerato un errore, può non esserlo per un’altra. E questo vale anche per il contesto sociale, politico o familiare. In altre parole, una norma è solamente un punto di vista riguardo qualcosa, ma non è l’unico né necessariamente il migliore.

Da qui, il bisogno di essere critici rispetto alla norma, di approfondirne il significato, la reale necessità e il valore. Attualmente, per ozio creativo si intende qualsiasi attività motivata da un interesse personale di crescita, al di fuori del contesto professionale.

Tuttavia, nell’antica Grecia indicava il tempo dedicato, in particolar modo dai filosofi, alla riflessione sui temi importanti della vita; come quelli legati alla società, all’arte, alla salute o alla politica, tra gli altri.

D’altro canto, è ampiamente dimostrato che quando le persone responsabili esercitano la loro libertà, si ottengono i risultati migliori. In altre parole, è auspicabile agire in autonomia e fuori dal condizionamento legato a paure o pregiudizi.

Il fatto di sentirsi in colpa quando ci si riposa, nella gran parte dei casi, esprime un forte condizionamento esterno.

Un circolo vizioso che si autoalimenta all’infinito

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, lo stress è una vera e propria epidemia. Ciò può essere spiegato, in parte, dal fatto che essere continuamente indaffarati è diventato un comportamento ossessivo. Crediamo erroneamente di poter stare meglio applicando questa regola.

Alcune persone non si limitano alle aspettative irragionevoli verso se stesse, ma si aspettano altrettanto anche dagli altri. A ciò si aggiunge il fatto che anche il modo in cui ci si riposa è diventato qualcosa di standardizzato e irreggimentato.

Mentre l’ideale è prendersi una pausa per stare soli con se stessi, per annoiarsi o dedicarsi ad attività semplici e persino inutili.

In caso contrario, questo comportamento compulsivo può portare, prima o poi, a sperimentare sensazioni d’ansia e di stress costante. Secondo alcuni studi, oltre il 70% delle persone rinuncia alle occasioni di socializzazione fisica, per dedicarsi a qualcosa di “più produttivo”.

Donna dubbiosa.

Smettere di sentirsi in colpa quando non si lavora

La frenetica corsa verso la “perfezione” ci fa spesso dimenticare che il riposo è necessario per la salute fisica e mentale. Il senso di colpa legato al riposo è spesso legato al feticcio della realizzazione economica, anche nei momenti di tempo libero.

Gli esperti affermano che il riposo è in realtà necessario per essere creativi e persino più produttivi. Inoltre, sottolineano i benefici della meditazione e del contatto con la natura.

Una pausa lontani dagli schermi ci permette di sperimentare una realtà più genuina. Un pisolino o un momento dedicato alla meditazione possono farci assumere una prospettiva diversa del mondo e del vivere in esso.

Quando le persone obbligano se stesse a lavorare per molte ore, per evitare di sentirsi in colpa per il tempo perso, paradossalmente rendono di meno.

Non riposarsi a sufficienza, può portare all’esaurimento, il quale è il risultato dell’avere superato i limiti più ragionevoli. Il riposo è un bisogno biologico e psicologico che ci permette di svolgere al meglio qualsiasi attività ed è anche l’unico modo per equilibrare i pesi della quotidianità.


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  • Castañeda Aguilera, E. (2010). Adicción al trabajo (workaholism): Patología psicosocial del siglo XXI. Salud de los Trabajadores, 18(1), 57-66.


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