Autosacrificio cronico: quando si dà troppo
Vivere una condizione di autosacrificio cronico potrebbe portarci a perdere noi stessi e comportare gravi rischi. Come esseri umani, può essere normale che capiti di investire il proprio tempo e le proprie energie in persone o in cause che ci logorano più di quanto possiamo sopportare.
Pensare, quindi, che convinzioni e valori personali non vengano sacrificati per i desideri e le opinioni degli altri può essere un’idea alquanto ingenua.
La negazione di se stessi e arrendersi alle idee e ai bisogni altrui sono fattori che, come osserviamo nelle dinamiche collettive, sembrano preoccuparci meno di quanto dovrebbero.
“Se guardi il mio successo, guarda anche il mio sacrificio.”
-Bernardo Stamateas-
Che cos’è l’autosacrificio cronico?
Sacrificarsi per gli altri e dare loro gran parte di noi stessi – spesso incondizionatamente – presuppone due realtà che difficilmente possono essere negate:
- Il bisogno di superare un conflitto tra i propri valori e quelli della persona per la quale ci si sacrifica.
- L’accettazione della rinuncia. Significa rinunciare alle proprie idee, ai propri bisogni e ai propri desideri.
Il sacrificio nasce nel momento in cui, nell’interazione con un’altra persona o in una particolare situazione, dobbiamo rinunciare al bene personale e all’attenzione nei confronti di noi stessi. L’autosacrificio va oltre, perché prevede la consegna di una parte di noi stessi agli altri.
In termini psicologici, l’autosacrificio è l’abbandono degli interessi personali per preservare il benessere di un’altra persona.
Poiché l’autosacrifico porta di solito alla negazione della soddisfazione di determinati bisogni o desideri personali, nonché di alcuni piaceri e obiettivi, ci troviamo essenzialmente a rinunciare a una parte preziosa e importante di noi stessi. Rinunciamo alla nostra dignità e persino alla nostra identità.
D’altro canto, l’autosacrificio può voler dire che in un dato momento o in una determinata situazione valorizziamo qualcosa o qualcuno piuttosto che noi stessi. Questo fatto evidenzierà il nostro altruismo e la nostra solidarietà.
L’altruismo, sebbene di solito sia una caratteristica apprezzata dalla società, può assumere una forma estrema quando l’autosacrificio eccede nella quantità e nella durata o anche quando viene intaccato il benessere della persona che si sacrifica. A volte, pertanto, può essere disfunzionale o disadattivo per la persona che si concede totalmente.
Quando l’autosacrificio diventa altruismo patologico
L’elenco degli esempi di autosacrificio è infinito. Dalle persone che si sacrificano senza sosta per una causa specifica ai genitori che danno la vita per i figli, passando per le persone che danno tutto per il loro partner mettendo in gioco la loro felicità e il loro benessere.
Molte di queste dinamiche, in quantità moderate, non creano problemi e, in una certa misura, sono atteggiamenti comuni e normali.
Ma quando l’autosacrificio diventa cronico e rappresenta l’unico modo di relazionarsi e affrontare la vita – e non avviene solo nei confronti di un singolo evento o di una persona specifica – si rischia di perdere la propria essenza.
L’autosacrificio implica un minimo grado di rinuncia e di svalutazione del proprio IO. Se questa rinuncia comporta un cambiamento nella gerarchia dei valori della persona e questa persona cessa di considerarsi importante per se stessa, si possono sfiorare i limiti del patologico.
L’autosacrificio cronico potrebbe essere una forma di altruismo patologico, ovvero dare troppo di noi stessi, quando la persona smette di valorizzarsi e, quindi, cessa di essere la sua priorità relegando l’IO in secondo piano.
Questa svalutazione che una persona dà a se stessa può portare a una situazione in cui i propri bisogni tendono a non essere mai soddisfatti e a dipendere sempre dalle esigenze degli altri. Ciò potrebbe provocare sentimenti negativi nei confronti di se stessi.
Tale situazione può intaccare la coscienza di una persona fino a invertire la scala dei suoi valori e a modificare il suo giudizio razionale e la sua autostima. In breve: l’autosacrificio cronico può sottrarre alla persona quei fattori che definiscono la sua essenza come individuo.
“Le persone raramente vedono i passi titubanti e dolorosi attraverso i quali si ottiene il successo più insignificante.”
-Anne Sullivan-
Come posso sapere se soffro di autosacrificio cronico?
Ci sono alcuni segnali che ci permettono di scoprire se il nostro è un caso di autosacrificio cronico. Tra questi, i più importanti sono:
- La quantità di aiuto che diamo non è sostenibile nel tempo. Ci accorgiamo di non avere abbastanza tempo, energie o risorse per noi stessi perché aiutiamo gli altri.
- Quando diamo la priorità ai nostri desideri, bisogni o opinioni, tendiamo a sentirci in colpa.
- A volte proviamo un grande vuoto emotivo dovuto alla mancanza di soddisfazione del nostro bisogno d’amore, affetto e attenzione.
- Sentiamo sempre di dover fare dei sacrifici per rendere felici gli altri.
- I nostri sacrifici diventano un obbligo nei confronti di noi stessi, mentre inizialmente li facevamo volontariamente.
- Spesso ci sorprendiamo quando diciamo sì, pur sapendo la risposta più appropriata era un no.
Una strategia proposta da alcuni autori (come Ayn Rand) per contrastare la tendenza all’autosacrificio cronico, che di solito è rafforzata dalla società, è il rafforzamento della propria ambizione morale.
In poche parole, si basa sulla capacità di convincersi di aver guadagnato il diritto a considerarsi persone di massimo valore. Bisogna pensare per sé e che nulla è più importante del proprio stesso essere.
Uno degli antidoti più efficaci per non cadere nell’autosacrificio cronico è prendersi davvero cura dei propri interessi. La soluzione potrebbe essere quella di praticare, per così dire, una forma di egoismo controllato, razionale e non aggressivo. Se possiamo evitarlo, perché non provare a non cadere nell’autosacrificio cronico?