Resistenza: quando non vuoi curare le emozioni

Resistenza: quando non vuoi curare le emozioni
Gema Sánchez Cuevas

Revisionato e approvato da la psicologa Gema Sánchez Cuevas.

Ultimo aggiornamento: 03 marzo, 2023

Dicono che tutti cerchiamo il benessere emotivo e vogliamo essere felici. Dicono che facciamo tutto quello che riusciamo a fare per essere felici. Se dovessimo avere un problema, di sicuro faremmo di tutto per trovare una soluzione e liberarcene.

Tuttavia, la psicoanalisi e la psicologia hanno scoperto che le cose non stanno proprio così. Lo dimostrano due terapie: i pazienti sono restii a curarsi.

E la cecità del cieco e la sua ricerca e il brancolare devono dimostrare il potere del sole, in cui egli fissò lo sguardo.

Durante un processo psicoanalitico o una terapia psicologia, la resistenza si manifesta in diversi modi. Non c’è tempo per presentarsi alle sedute, si perde l’interesse per la terapia, si critica troppo il terapeuta o il psicoanalista.

Tutto quello che blocca o impedisce di andare avanti è una forma di resistenza alla cura. Perché qualcuno che soffre e ha l’opportunità di curarsi sceglie di sabotare questa possibilità?

La resistenza

In realtà, la resistenza lascia intravedere una lotta tra il desiderio consapevole di cambiare le cose e le forze inconsapevoli che ostacolano questo proposito. In queste forze risiede anche l’origine della sofferenza.

A questo punto si prospetta una realtà paradossale: curarsi può essere un grande problema per le persone. È questo il motivo per cui, quasi tutti, siamo restii a portare a termine processi che davvero ci libererebbero da una grande sofferenza.

La cura rappresenta un problema per diverse motivi, ma ne segnaliamo solamente tre:

  • La paura di non essere in grado di affrontare il dolore.
  • Guarire una grande sofferenza implica perdere alcuni benefici.
  • Il senso di colpa è così forte e così irrazionale che migliorare non è un’opzione.
Pianto

La paura di soffrire ancora di più

Se vi chiedono quali problemi o conflitti avete, di sicuro avreste una lista di situazioni che in generale vi provocano un certo malessere: non andate d’accordo con il partner o non vi trovate a vostro agio sul posto di lavoro, non avete bei rapporti con la vostra famiglia, avete paura dell’opinione altrui, etc.

Se approfondite un po’ queste situazioni, vi renderete conto che in realtà sono solo “la punta dell’iceberg” di altre realtà più complesse.

Ad esempio, non è che non andiate d’accordo con il partner, magari avete solo una grande paura dell’abbandono e questo vi rende persone che vogliono avere tutto sotto controllo e che causano problemi. Non è che non vi sentiate a vostro agio sul posto di lavoro, magari avete paura del vostro capo e avete difficoltà a reclamare ciò a cui avete diritto.

Anche se non ne siete consapevoli, sapete bene che esistono aspetti occulti dietro ai vostri principali problemi. In genere sono paure, sensi di colpa o desideri che, consapevolmente, non accettereste.

Questo vi porta a opporre resistenza, quando si tratta di risolvere i problemi e curarvi. Non volete affrontare una realtà dolorosa o sconfortante, perché pensate di non essere in grado di sopportarla.

I benefici secondari

Nonostante tutte le complicazioni, anche la sofferenza ha dei benefici. In realtà, è più facile recitare la sceneggiatura quotidiana dei vostri problemi, invece di investire tempo ed energie ad analizzarli e risolverli. Ecco allora che restare nella condizione di sofferenza vi consente di risparmiare energie.

A partire dalla sofferenza, costruite una posizione nei confronti della vita, il che giustifica i vostri problemi. Ad esempio, “non posso avere un lavoro migliore, perché l’economia è in crisi e devo accontentarmi di quello che c’è”.

Detto questo, la responsabilità non è più vostra e, quindi, voi siete solo vittime delle circostanze. Finite col sentirvi dire “pover’uomo” o “povera donna” e trovate un certo conforto in queste parole.

Infine, anche se potrà sembrarvi strano, finite per attaccarvi ai vostri problemi e per apprezzarli. Di fatto, quando risolvete un problema, compaiono alcuni sintomi di dolore.

Tristezza

La colpa e la punizione

Anche se non lo ammetterebbero mai, alcune persone sono convinte di meritare la sofferenza che provano. Non è che pensino di dover soffrire e basta, ma evitano in tutti i modi di uscire da questa sofferenza, pur avendo la possibilità di farlo.

Non funzionano le terapie, gli psicologi o i psicoanalisti. Non funziona alcuna forma di cambiamento. L’unica cosa che funziona è la loro sofferenza.

In realtà, si tratta di persone che inconsciamente sentono di dover essere punite. Perché? La maggior parte delle volte per via di abusi sessuali subiti durante l’infanzia oppure di padri e madri troppo esigenti o ancora in seguito ad altre situazioni simili.

Di certo, adottano idee e atteggiamenti che impediscono loro di ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno. Così possono scontare la punizione che, in fondo e senza vere ragioni, sentono di meritare.

Tutti abbiamo in maggiore o minor misura un insieme di resistenze che ci impediscono di guarire le nostre emozioni. Queste resistenze vengono a galla durante una seduta psicologia o psicoanalitica, ma sono presenti anche nella vita di tutti i giorni.

Superare queste resistenze è un lavoro duro, ma allo stesso tempo rappresenta l’inizio della fine delle nostre grandi sofferenze.


Questo testo è fornito solo a scopo informativo e non sostituisce la consultazione con un professionista. In caso di dubbi, consulta il tuo specialista.